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Venerdì 27 novembre'09 dalle 19 a mezzanotte in via Paolo Fabbri 110

L'Orto dei tu'rat: “MaralAcquaCiLaTene” a Vag61

4 - L'Orto dei tu'rat

Partiamo col presentare il ricco programma di “MaralAcquaCiLaTene”

Venerdì 27 novembre 2009
a VAG61, via Paolo Fabbri 110, Bologna

Ore 19,00 Aperitivo rinforzato

Ore 19,30 Proiezione del documentario “Una goccia tira l’altra - Acqua: bene comune dell'umanità, diritto di tutti” (*)

Ore 20.00, Incontro dibattito sulla tematetica della desertificazione e della proprietà dell’acqua. Intervengono Cosimo Specolizzi (ideatore del Progetto “L’Orto dei turat”) , Daniele Errico (agronomo/paesaggista), Piero Gatto (educatore), Milena Magnani (scrittrice), Elisa Mereghetti (documentarista)

Ore 21.00, Cena Salentina (è gradita la prenotazione al n.3282260629 o al 3287311354)

Ore 22.00, Concerto di musica popolare salentina in compagnia del gruppo “Maracisente” (**)

Molti si domanderanno perché un progetto che avrà come suo luogo naturale un’area di un piccolo paese salentino viene presentato per la prima volta a Bologna… la storia da narrare è lunga, proviamo a raccontarla, per farvi aumentare la curiosità…

SALENTO- BOLOGNA, ANDATA E RITORNO
Ai confini estremi della Penisola, molto a sud di Bologna, percorrendo la A14 che fiancheggia gran parte della costa adriatica, esiste una terra baciata dal sole praticamente tutto l’anno, bagnata da un mare limpido e trasparente. Il profumo degli ulivi, i muretti a secco, le bianche case basse e le caratteristiche masserie, insieme alla pittoresca architettura che caratterizza i numerosissimi ed ospitali paesini della provincia di Lecce, hanno reso il Salento uno dei luoghi più suggestivi del nostro Meridione. Fino a qualche anno fa solo pochi turisti si spingevano fino al “tacco” per la classica vacanza estiva. Da qualche anno qualcosa sta cambiando... Le speranze del Salento sono enormi, forse in un prossimo futuro assisteremo a una rivalutazione delle risorse umane, ambientali e culturali di questo magnifico lembo di terra. Per il momento però, per migliaia di giovani salentini che vogliono vivere dove sono nati le scelte appaiono ancora obbligate, sempre e solo le stesse da tanti anni: università fuori sede, disoccupazione e lavori ultra-precari o, per i più “fortunati”, concorsi e speranza di “raccomandazioni”.
Nel frattempo, sui treni della ferrovia adriatica o a bordo di qualche utilitaria, i giovani salentini percorrono la costiera per raggiungere Bologna pieni di idee, speranze e progetti. Cosa li spinge così lontano da casa e cosa poi fa decidere loro di mettere definitivamente radici nel capoluogo emiliano?
I salentini a Bologna, lontani dalla loro terra, si sono dovuti adattare a nuove abitudini: un sole diverso, più umido lontano da quello che spacca le pietre del Salento. Persi nella nebbia emiliana, rimpiangono la vitalità, repressa, della popolazione del loro paese d’origine, ma essendo gente molto ispirata e creativa, sotto le due torri, hanno ricreato un loro habitat familiare nelle osterie di via del Pratello, nei bar intorno alla cittadella universitaria, nei centri sociali. Mentre quelli più dinamici negli affari e nei commerci hanno anticipato i “negozi etnici”. Così, nel corso del tempo, sono spuntati, “Forni della Taranta”, “Sapori della Taranta”, “Specialità Salentine” e altri localetti tipici…

BOLOGNA-SALENTO: ANDATA E RITORNO
E’ una vera e propria onda lunga che percorre quasi mille chilometri ogni estate da Bologna verso il tacco dello “Stivale”. Nel mese di agosto, è come se un’intera comunità (quella che d’inverno brulica negli spazi autogestiti della nostra città) si fosse trasferita in massa nella penisola salentina. Dal concerto dei Folkabbestia di Novaglie, alle notti raggae del Babilonia di Torre S. Andrea o della Masseria Torcito, dalle disco di tendenza di Otranto alla danza delle spade dei “tarantolati” di Torre Paduli, dal festival jazz di Soliano Cavour ai concerti della “Notte della Taranta” nei paesi della Grecìa salentina, dai fuochi d’artificio delle feste patronali alle processioni a mare con le barche, dall’ormai “classico”, concerto dei Sud Sound System al concertone finale della “Notte della Taranta” di Melpignano, ogni occasione è buona per riempire le piazze.
Poi, sopravvenendo l’autunno, il “cavallone umano” compie il percorso a ritroso, ci si disperde di nuovo tra le strade di Bologna, fino all’appuntamento per tutti, salentini e bolognesi: il consueto concertone invernale degli amatissimi Sud Sound System, un tempo al Livello 57, oggi al TPO di via Casarini.

Ma Bologna sarebbe così amata e sognata se non fosse popolata da tanta gente non bolognese?
E’ a partire da questa domanda, che abbiamo deciso di organizzare la serata dell’Orto dei Tu’rat, per creare almeno un’altra occasione di melting pot bolo-salentino, oltre quelle che ruotano attorno al raggamuffin del Tacco d’Italia.

2 - L'Orto dei tu'rat

QUEI TU’RAT CHE SPREMONO ACQUA DALLA PIETRA

di Milena Magnani

Per spiegare l’Orto dei Tu’rat si può partire dalla pietra ma io preferisco partire da un poeta salentino che visse e si formò a Bologna negli anni settanta, gli anni della contestazione più viva. Si tratta di Antonio Verri, un poeta incredibilmente ancora escluso dalle antologie dei poeti nazionali, che mantenne sempre vivo nella sua poetica il legame con questa città. Antonio tornò in Salento per fare i suoi “fogli di poesia” e per riallacciare un dialogo con la sua terra che un incidente stradale interruppe nel 1992.
E’ lui che guardando il paesaggio salentino scrive: “Continua il dialogo con la terra, con una realtà di volta in volta essenziale, lineare, un po' amara, un po' magica ... Molte le cose che da simile cultura (magra, fatata) ho avuto, cose che hanno fatto la mia vita...(…) poveri oggetti (stilizzati, essenziali, ma solidi), situazioni le più umili”.
Credo che nella sua poetica si possano riconoscere molte persone d’origine salentina trapiantate a Bologna, persone che qui studiano o studiarono, che qui sono passate o si sono fermate a vivere per le più svariate ragioni.
Nelle sue parole si può riconoscere una comunità dalle radici impalpabili, dalle origini che consentono di esplorare il mondo con la certezza di avere nel cuore un piedistallo, una matrice che è quel dialogo sempre aperto con la propria terra, di cui Verri scrive: “ecco, quel che non cambierà mai sarà l'idea del dialogo con la terra (…), il grosso respiro, il sibilo lungo che si può udire solo di mattina, mirando nella vastità dei campi, con accanto sentinelle silenziose gli alberi d'argento...”
E’ proprio partendo da questo atavico bisogno di un dialogo con la terra che abbiamo cercato di dare vita all’Orto dei Tu’rat.
Un dialogo fatto di pietre, di antica arte dei muretti a secco, di piante che crescono in terreno arido.
E un dialogo che è cominciato da Bologna, pensando da qua alla desolazione della campagna arida che avremmo trovato scendendo d’estate in quella che per alcuni di noi è la casa d’origine.
Quella campagna che fino agli anni cinquanta era stata coltivata a ulivo e a vigna e dove oggi, noi, divenuti cittadini del nord urbanizzato, vediamo il secco avanzare inesorabile come una canzone:
“Malinonicu canto, allegro mai
E cacciala fore sta malincunia…”
Quell’avanzare che sembrerebbe circoscritto a un contesto locale, ma che si inserisce in una nostra profonda convinzione. La convinzione che ogni storia locale, quando tocca l’ambiente, riguarda inevitabilmente tutti noi. Che il pozzo del contadino, che di colpo pompa acqua salata non è un problema di quel contadino. Lui sta lì con la sua espressione attonita ma come la può “cacciare fore la sua malincunia”? E’ la malinconia di un’intera epoca di trascuratezza.
Allora noi ci abbiamo pensato e l’abbiamo “cacciata fore” con un progetto. Piccolo, eppure al tempo stesso ambizioso per il ricorso all’alfabeto arcaico della terra che ha provato a rimettere in uso.
Mi spiego:
E’ ormai un’evidenza che il Salento è una delle regioni d’Italia a maggior rischio di desertificazione. Non ha fiumi, e le falde sono ormai prevalentemente salinizzate.
E’ una terra che, a ben guardare, potrebbe rappresentare l’ avanguardia della catastrofe, ma che al tempo stesso ci offre l’occasione per tentare soluzioni, sperimentando percorsi di risanamento ambientale che ci proteggano dal rischio di rimanere passivi e dormicchianti spettatori di quella che alcuni scienziati definiscono una vera e propria emergenza acqua.
E’ facendo queste considerazioni qui a Bologna che, in un gruppo misto di salentini e bolognesi, abbiamo deciso di scendere in Salento, in una zona a tre chilometri dal mare, per avviare questo progetto che porta il nome di Orto dei Tu’rat.
Il principio su cui si basa è la riproposizione del sistema arcaico che consente di irrigare i terreni senza apporto meccanico. Si tratta di un sistema che abbiamo mutuato dal deserto del Negev che sfrutta l’acqua contenuta nei venti, venti a cui facciamo trovare barriere di pietre a secco contro cui sbattere rilasciando molecole di acqua che per percolamento scendono a terra sotto forma di rugiada.
Ecco, sì, il principio su cui si basa è sostanzialmente questo ma ancor prima di questo va precisato che ce n’è a monte un altro, imprescindibile, ed è quello di un certo modo di intendere l’economia come economia “della vita”, è quello di entrare in rapporto con i luoghi e con il tempo mettendo al primo posto il valore del rispetto dell’ambiente e della vita di tutti senza distinzioni, in contrapposizione a quello svilente e imperante della produzione di profitto.
E infatti, purtroppo, è una nostra frequente esperienza sentire le persone, pur affascinate dall’Orto dei Tu’rat, rivolgerci questa domanda: Ma qual è però alla fine il vostro tornaconto?
E’ una domanda che ci imbarazza perché si capisce, dal tono con cui viene pronunciata, che presuppone una risposta monetaria, di cifre e plusvalore che noi, per il nostro modo di concepire il progetto, non siamo proprio in grado di formulare.
Basta considerare che tutt’ora non abbiamo avuto nessun finanziamento pubblico e tutto quello che nel progetto è stato speso è frutto di assoluta autotassazione. Il tornaconto, se ci sarà, sarà quello di vedere le piante dell’orto botanico che intendiamo impiantare crescere rigogliose, sarà quello di vedere le persone avvicinarsi incuriosite alla nostra sperimentazione.
Spero che chi legge abbia occasione prima o poi di venire di persona a visitare l’Orto dei Tu’rat e in quell’occasione sono sicura che avrà modo di verificare come, essendo le Tu’rat in assoluta sintonia con il paesaggio e l’atmosfera ambientale, lo scenario che se ne ricava sia di una bellezza disarmante.
Entrando nell’orto ci si trova infatti di fronte a dodici mezze lune di pietra a secco immense, costruite con pietra di Alessano, e la prima cosa che a tutti viene spontanea è il silenzio. L’idea immediata di un vivere con lentezza, la suggestione di una natura impalpabile che respira e si mostra senza alcuna vanità.
Vi ricordate quel brano di Fossati?
Ci si inginocchia su questo sagrato immenso, dell’altipiano barocco d’oriente, per orizzonte stelle basse.
E’ la stessa suggestione che ci coglie di fronte a certe imponenti costruzioni arcaiche di cui neanche capiamo la funzione e che arrivano tramandate fino a noi nel mistero dell’antichità.
E non so perché a proposito di mezze lune di pietra, mentre ne parlo, mi viene in mente anche la strofa di una vecchia canzone di Lucio Dalla “l'ultima luna la vide solo un bimbo appena nato /aveva occhi tondi e neri e fondi e non piangeva /con grandi ali prese la luna tra le mani /e volo' via e volo' via /era l'uomo /di domani…”
Se un tornaconto ci sarà, sarà che questo nostro progetto voli verso il domani. E’ per questo che abbiamo deciso di organizzare al suo interno una serie di piccoli eventi culturali che ci consentano di dare visibilità all’idea. All’idea che poi, nella sua forma poetica e quella dell’impossibile reso possibile, è quella di poter riuscire a spremere acqua dalla pietra.
E cos’altro è questa se non un’azione poetica? Un’azione poetica che caccia le unghie nella carne della terra per dire che anche nel 2010 noi vogliamo fare una poesia di lotta, una poesia di pietra che sia testimonianza di qualcosa.
In questo senso ci piacerebbe anche creare un ponte privilegiato con gli artisti di Bologna, con i poeti, gli scrittori, i musicisti per fare delle Tu’rat la cornice di uno scambio questa volta inverso, di un nord che scende verso sud, di un luogo dove le identità si possano scambiare.
Come scrive Cosimo Specolizzi in una sua poesia: “….ed è ancora in questo incontro che i nostri sentimenti si mischiano in uno strano vapore acquatico”.

3 - L'Orto dei tu'rat

SCHEDE

(* )“Una goccia tira l'altra - Acqua: bene comune dell'umanità, diritto di tutti"
Documentario prodotto dal COSPE per la Campagna internazionale di educazione e sensibilizzazione per il diritto dell'acqua (a cura di Elisa Delvecchio, fotografia Marco Mensa, regia e montaggio di Elisa Mereghetti).
Il video, realizzato nell’ambito del progetto internazionale “Acqua: bene comune dell’umanità – diritto di tutti” si ispira ad iniziative concrete realizzate dalla campagna “Portatori d’acqua”, e mira a sensibilizzare l’opinione pubblica in generale ed i giovani in particolare sull’importanza della difesa della risorsa acqua, sulle pratiche di risparmio idrico e sull’interconnessione tra consumo idrico nei paesi del Nord e accesso all’acqua nei paesi del Sud.

(**) Maracisente - Compagnia di musica popolare. Il gruppo nasce a Bologna nel 2002 con lo scopo di riproporre la musica popolare salentina mantenendo le forme e le espressioni musicali e coreutiche della cultura contadina ed è composto da giovani provenienti dalle province di Lecce, Taranto e Brindisi, ognuno portatore del patrimonio culturale locale. Il repertorio del gruppo spazia dalla pizzica ancestrale cadenzata dal ritmo ipnotico del tamburello, ai canti alla stisa, dove le voci assurgono a veri e propri strumenti melodici, passando per le serenate d'amore e canti di lavoro.

Il gruppo è così composto da
ANTONIO CORSANO: organetto diatonico, voce;
PIERLUIGI ANTONAZZO: tamburello, voce;
GIUSEPPE PRESICCE: violino;
ANDREA NAPOLI: chitarra;
FRANCO ZILLI: mandolino;
MARCO NOCITA: tamburello.

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